Buondì cari amici. Oggi vi presento Alessio Zanzarella, un giovane architetto pugliese che ho conosciuto grazie alla rete.
Alessio ha partecipato, assieme ad altri giovani designer della sua regione, ad una mostra dedicata al design Made in Puglia, nell’ambito del Salone Internazionale del Mobile di Milano 2017. Grazie ad Alessio ho scoperto che la Puglia è, in questo momento, una fucina di talenti e che molte aziende del settore puntano sui giovani e sulla qualità per rilanciare la produzione dopo anni di crisi. Credo che la creatività italiana non abbia eguali nel mondo e che i giovani vadano sostenuti con tutti i mezzi possibili, anche con interviste sui design blog. Andiamo a conoscere meglio Alessio e il suo lavoro:
Ciao Alessio, ci parli un po’ di te?
Ciao Cinzia, intanto grazie dell’opportunità che mi stai offrendo. Spero che parlare di me possa essere utile per rappresentare non solo la mia esperienza personale, ma anche quella di un’intera categoria di giovani architetti e designer italiani che ogni giorno sfidano il presente, ricercano, sperimentano e tentano di diffondere l’importanza di questo mestiere, che in Italia però non è ancora del tutto compreso. Sono nato a Manduria (Taranto), mi sono laureato in Architettura a Roma e poi, dopo diverse esperienze in giro per l’Europa, ho fatto una scelta inusuale: mi sono trasferito in Toscana, più precisamente a Viareggio (la cosiddetta città del carnevale), in Versilia, realtà dalle mille sfaccettature, un po’ borderline, a metà tra un provincialismo colto e un’affascinante e sobria visione del “bello”. Una scelta singolare, visto che i miei colleghi appena laureati si sono indirizzati verso Milano, Londra, oppure sono rimasti a Roma. Ma una scelta ragionata: ero alla ricerca di una dimensione urbana che mi facesse toccare con mano l’atmosfera patinata della bella Italia, quella che sugli itinerari turistici dell’epoca (2006) terminava a Orvieto o poco più. Insomma, quella dei piccoli borghi, l’Italia delle eccellenze; così ho pensato che la Versilia, affacciata sul mare, ma molto interconnessa con l’entroterra e soprattutto con Milano e Firenze, facesse proprio al caso mio. Un’avventura durata ben 8 anni, che mi ha portato a scoprire cosa vuol dire “essere italiano” da una nuova angolazione e che forse mi ha reso ancora più legato alla nostra penisola.

E ora eccomi rientrato in Puglia, con una maggiore consapevolezza di me stesso e pronto, anzi prontissimo, a riappropriarmi nuovamente delle mie “radici” (storiche, culturali, sociali) e soprattutto convinto che da sud a nord, da nord a sud, in questo groviglio di problematiche sociali, antropologiche ed economiche che attanagliano il nostro Paese, valga davvero la pena tentare di crearsi un proprio habitat, di ritagliarsi una propria nicchia, seppure il sistema non ci sia d’aiuto. Dal mio punto di vista, fare esperienza “fuori” o comunque in giro per il mondo è importante; ma con l’obiettivo di ri-tornare, più consapevoli, più forti per “costruire” sulle proprie radici, cercando di valorizzarle e infondendo nuova linfa vitale, se necessario, andando contro-corrente. In altre parole, vorrei ancora credere in un mondo in cui è possibile essere architetto o designer in Italia e ancor di più in Puglia o in contesti distanti dalle solite “business areas” metropolitane. Per fare tutto questo è necessaria tanta fantasia e perseveranza … è fondamentale crederci.
Quali sono i tuoi interessi e le tue passioni?
Devo dire che è piuttosto difficile parlare dei miei interessi o delle mie passioni, perché queste normalmente si intersecano con la mia vita professionale. Posso dire che sono attratto da qualsiasi forma d’arte, per cui è piuttosto consueto che mi ritrovi ad approfondire argomenti di transavanguardia o a ricercare, allo stesso modo, sperimentazioni electro di musicisti sconosciuti. Mi affascina in genere tutto ciò che è undergrond, ai margini, ma con raffinatezza … la mia attenzione è spesso rivolta a quegli artisti che vanno al di là del “raccontabile”, che non si limitano ad emozionare i 5 sensi e che riescono a conferire quel “non so che” di ironico, bizz oppure profondo e oscuro … sì … sto parlando di una forma di “romanticismo contemporaneo”. Tutta questa mia attitudine si riversa in alcuni interessi che coltivo con grande senso di curiosità; per esempio sono appassionato di “buoni vini” (adoro i vini che hanno retrogusti inconsueti); mi appassiona il giornalismo, quello impegnato ma anche quello improvvisato dalla gente comune che si trova in un determinato luogo e per caso riesce a filmare un evento straordinario. Purtroppo la mia chitarra jazz è da tempo nella custodia … un giorno forse riuscirò a rispolverare anche questa passione.

Come e quando hai capito che avresti fatto l’architetto/designer?
L’ho capito da adolescente, quando mi sono guardato dietro e mi sono chiesto quali fossero state le esperienze creative concrete di cui serbassi un ricordo più intenso. Così mi sono venuti in mente la capanna sopraelevata e il ponte sul torrente che ho costruito durante il mio periodo scout, eseguiti seguendo dei principi di proporzione geometrica. Ma anche i dipinti in acrilico che ho donato all’oratorio e il mio manifesto disegnato per il world youth day del 1999. La cosa simpatica è che ho sempre avuto un approccio molto laico in queste mie prime esperienze creative, seppure tali ambienti fossero vicini alla chiesa e quindi i committenti (preti, suore ed educatrici) storcessero parecchio il muso: le illustrazioni infatti, sia nel primo che nel secondo caso, rappresentano persone che si “uniscono”, fanno gruppo … ma, osservando con un occhio più cinico, per “ribellarsi”: dimostrazione che fin da piccolo ho sempre cercato di trovare una linea diplomatica apparente, ma per raccontare paradossalmente il mio vero pensiero. Insomma, ripercorrendo il mio passato ho scoperto che fin da bambino avevo già più o meno compreso che “equilibrio formale” e “significato semantico delle forme” possono originare l’arte … questa è la consapevolezza che mi ha introdotto all’architettura. Tuttora mi rendo conto che pur di raggiungere tali stati d’arte sono disposto a tutto, anche a rinunciare oltremodo al mio tempo che dedico parossisticamente a perfezionare, ripulire e arricchire concettualmente le mie geometrie.
Se dovessi lavorare per un designer famoso, chi sceglieresti?
In primis Mies Van Der Rohe: sono attratto da quell’approccio “silenzioso” nella ricerca dell’armonia e dell’equilibrio. Mi piacerebbe studiarne il processo “intimista” delle sue opere, quella raffinatezza così aurea che per me sono caratteri attuali … direi “senza tempo”. E paradossalmente sarei entusiasta di lavorare per Bruno Munari, per esaltare, con quel pizzico di pepe, l’ironia e la simpatia contenute in natura nelle forme. Adoro di lui il suo metodo progettuale, ma anche quella condizione di essere umano strabordante di fantasia che ama comunicare all’intera umanità quanto sia importante esercitarsi ad accendere la propria “lampadina” per costruire un mondo migliore.

Raccontaci il tuo processo creativo
Ho sempre pensato che essere architetto è un po’ come essere un sarto. Motivo per cui il processo creativo di un oggetto, che sia una casa, un interno, un prodotto, deve essere misurato sulla sua funzione (abitativa, commerciale, economica, etc.) e quindi misurato sulle persone che utilizzeranno il progetto o sulle circostanze in cui esso sarà utilizzato. Non cambia progettare una sedia, rispetto al progettare una casa. Al di là delle competenze tecniche, il processo progettuale ha un metodo identico: sviluppare la forma e il suo processo produttivo in modo da ottenere il maggior risultato (funzionale, iconografico, economico, etc.) col minore sforzo in termini economici. In questo assolvono un ruolo importante le risorse umane che sono coinvolte in questo processo: dal committente all’artigiano, agli operatori della filiera industriale, con cui cerco di approntare uno stato di “confidenza umana”, che secondo me è il motore di ogni opera in cui siano coinvolte più personalità. Il mio processo creativo quindi per arrivare ad essere finalmente creativo, deve basarsi su un’analisi coerente di quella che io definisco una “situazione limbo” (lo stato primordiale) e della situazione post-operam. Nel momento in cui sono abbastanza certo di aver circostanziato accuratamente la mia area creativa, parto in quarta e chi mi ferma più???!!! In altri termini cerco dapprima di limitare più possibile la mia libertà d’azione, in modo da sprigionarla deliberatamente in una fase successiva. È un approccio, questo, tipico dell’essere architetto o designer, figure differenti dall’artista che invece può esprimersi senza alcun vincolo. Ma è anche un approccio che è insito nel mio carattere … io sono un po’ così anche nella vita: mi creo i miei perimetri, li modello, li plasmo a seconda delle circostanze … e poi ci gioco dentro in modo rassicurante e mi ci diverto.

Qual’è il progetto di cui sei più fiero?
Ti dico solo una cosa: quando sono per esempio in auto, momento in cui mi capita di meditare su “questo” e su “quello”, mi esercito a ripensare ai miei progetti già realizzati. Beh non ti nascondo che, nella maggior parte dei casi, mi capiti di ideare soluzioni nuove rispetto a quelle già adottate. È un po’ come se le opere finite e già compiute continuassero a rivivere nella mia testa con forme nuove o accenti differenti. È fantastico tutto ciò … mi diverte farlo e ci sguazzo. Questo per dirti che in generale sono fiero del mio lavoro, ma molto critico sulle mie opere già realizzate. Bisogna però riconoscere che se proprio dovessi parlarti di qualche mia esperienza di cui sono orgoglioso, ti parlerei di quelle in essere, come per esempio il negozio di abiti da sposo che sto realizzando a Laterza – Taranto, oppure la nuova collezione di oggetti dedicati alla mia terra – Terra del primitivo. Oppure ti parlerei di due progetti terminati di recente, come SEA SOU STORE, il negozio di souvenir che ho realizzato nel Centro Storico di Gallipoli, e OPLUS, la texture decorativa per una piastrella in gres grande formato, prodotta da Ornamenta di Sassuolo. Ti parlerei di questi perché sono i più recenti e quindi forse identificano meglio la mia attitudine attuale.

SEA SOU STORE
È un negozietto dedicato ai souvenir situato nel centro di Gallipoli, progettato con l’obiettivo di conferire un appeal iconografico forte per i turisti che normalmente affollano le stradine e i vicoli della bellissima città storica. È quindi una di quelle situazioni progettuali in cui l’interior design avrebbe dovuto assolvere al compito prioritario di richiamare l’attenzione del pubblico con un’immagine chiara e di facile ricordo. Io lo definisco appunto una sorta di “icon store”, generato sulla definizione di segni lineari di colore RAL BLU-CAPRI, che oltre a delineare il ritmo delle scaffalature, determinano una condizione di “MARE CONCETTUALE” su cui galleggiano gli oggetti esposti e che avvolge i fruitori come se questi vi si fossero immersi.

OPLUS
È invece una texture che ho disegnato per l’azienda Ornamenta di Sassuolo. È un pattern originato da una sequenza di piccoli segni “+”, disposti su una griglia regolare, ma ruotati rispetto al loro baricentro come se avessero subito un flicker; questa piccola rotazione conferisce vibrazione all’intera lastra sia guardandola da vicino, sia osservandola da lontano, apparendo come un vero e proprio mosaico regolare che ha subito una scossa. In entrambi i progetti ho concretizzato una ricerca che sto affrontando da tempo sull’equilibrio dei segni lineari. Questi si incrociano, si intersecano, ruotano, definiscono spazi, si contrappongono, irrompono nello spazio, pur rimanendo sottili e tesi. Quella dei segni lineari è una ricerca che diventa sfida: quanto può essere forte, intensa, dirompente una linea e “pesare” più di un piano o di un volume?


azestudio – architettura & design
di Alessio Zanzarella
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